lunedì 30 maggio 2011

Le tabelle millesimali stabilite dal regolamento condominiale possono essere modificate anche per facta concludentia

Il Tribunale di Monza, con la sentenza n°1132 depositata il 12/04/2011, ha sancito che le tabelle millesimali possono essere modificate anche per facta concludentia a seguito della risoluzione dell'assemblea condominiale, adottata a maggioranza dei presenti votanti che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio, la quale spontaneamente deliberi in deroga alle norme del regolamento condominiale.
Nella fattispecie, un condomino aveva impugnato una delibera assembleare per asserita contrarietà alle regole di riparto previste nelle tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale risalente al 1968. La delibera, in effetti, era conforme al criterio di diversa ripartizione deciso dall'assemblea condominiale nel 1990, al quale, sin da allora, tutti i condomini si erano adeguati e in applicazione del quale, il condomino ricorrente avrebbe dovuto pagare una quota di spese condominiali superiore a quella risultante dalle precedenti tabelle millesimali regolamentari.
Nella narrativa della sentenza, si precisa che anche il dante causa del condomino ricorrente, aveva votato la nuova ripartizione di spese deliberata nel 1990 ed il suddetto condomino aveva, fino a quel momento, pagato le spese in conformità a tale criterio. 
Il giudice di merito chiarisce che le tabelle millesimali contenute in un regolamento avente natura contrattuale, possono essere innovate con una nuova convenzione, in omaggio al principio dell'autonomia contrattuale posto dall'art. 1322 c.c., che non richiede forma scritta ad substantiam perchè non incide su diritti reali, ma richiede il consenso dei condomini che può essere espresso anche per facta concludentia, purchè tale manifestazione tacita si rapporti ad un comportamento univoco e concludente che denoti la volontà di attenersi al nuovo criterio deliberato. Tale era stato, appunto, il comportamento dei condomini sin dal 1990, compreso il ricorrente.
D'altra parte, argomenta il giudice, gli obblighi dei condomini di partecipazione alle spese comuni o del rispetto della volontà assembleare sono vincoli sanciti ex lege e non dipendono dalla volontà delle parti, ma sono connessi al diritto reale da cui dipendono e sono trasmissibili, anche per atto tra vivi, con il trasferimento di quei diritti, per cui, con il trasferimento del diritto reale, al successore a titolo particolare sono trasmessi anche gli obblighi connessi a quel diritto, per cui l'oggetto perviene all'acquirente nella stessa misura e con le stesse facoltà con cui pervenne al precedente titolare. Ciò significa che al condomino ricorrente si estende il criterio di ripartizione delle spese cui aveva espresso consenso il precedente titolare dell'immobile.
In ogni caso, conclude il giudice, pur volendo interpretare la condotta del ricorrente come non accettazione tacita della volontà assembleare, va tenuto conto del fatto che in base al principio sancito dalla recente SS.UU. 18477/2010, la Cassazione ha stabilito che la modificazione delle tabelle millesimali condominiali, pur quando contenuta in un regolamento di origine contrattuale, può essere effettuata dall'assemblea condominiale che deliberi a maggioranza dei votanti, i quali rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio, in conformità ai criteri di cui agli artt. 1136 e 1138 c.c.
Avv. Maria Talarico

giovedì 26 maggio 2011

Astreinte: condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 comma 3° c.p.c. per chi avanzi domanda risarcitoria senza la prova del danno

Con sentenza del 1° aprile 2011 il Tribunale di Lodi, in composizione monocratica, ha disposto la condanna ex art. 96, 3° comma c.p.c. nei confronti della parte attrice del giudizio, in quanto la domanda di risarcimento del danno è risultata non supportata dagli elementi di prova necessari a dimostrare l'esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda.
L'attrice lamentava di aver subito danni meccanici all'autocarro da essa condotto, poichè era finita in una profonda buca presente sul manto stradale. Per questo, richiedeva il risarcimento del danno occorso nonché del danno da mancato guadagno.
A sostegno probatorio della sua domanda, tuttavia, l'attrice aveva soltanto prodotto un documento consistente in una dichiarazione rilasciata da una persona non presente al momento del sinistro ed aveva indicato una circostanza testimoniale risultata generica ed inattendibile. Infatti il Giudice, oltre ad osservare l'incongruenza per cui, in una circostanza del genere, l'attrice non aveva chiamato alcuna autorità pubblica per fare eseguire i rilievi del caso, ha anche dedotto l'inadeguatezza dell'unica circostanza testimoniale articolata, siccome formulata in termini generici che non consentivano l'ingresso della prova orale nella causa di specie, stante il contrasto tra il carattere generico di tale circostanza e quanto disposto dall'art. 244 c.p.c., che impone di dedurre la prova per testimoni mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna persona deve essere interrogata. 
Sul punto, il giudice ha richiamato un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui "la richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un'adeguata difesa" (cfr. Cass. 9547/2009).
Pertanto, in mancanza della prova dei fatti posti a fondamento della domanda, il Tribunale ha rigettato la richiesta risarcitoria di parte attrice condannando quest'ultima, oltre che al pagamento delle spese di lite, anche al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 comma 3° c.p.c., determinando l'entità del risarcimento in via equitativa.
Avv. Maria Talarico

martedì 24 maggio 2011

Il Comune è tenuto al risarcimento del pedone che cade in una buca del marciapiede riempitasi d'acqua.

La terza sezione civile della Cassazione, con ordinanza emessa in camera di consiglio e depositata in data odierna, ha cassato con rinvio una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna che aveva escluso la responsabilità del comune per l'incidente occorso ad una cittadina che era caduta in una buca del marciapiede riempitasi d'acqua piovana.
In particolare, la Corte aveva sostenuto che, pur essendo una buca apertasi sul manto stradale indice di un difetto di manutenzione da parte dell'ente comunale, al quale fa capo la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c., nel caso di specie l'evento pluviale si era posto come elemento imprevedibile ed estemporaneo, rispetto al quale il comune non aveva potuto intervenire tempestivamente, per cui tale evento fortuito era idoneo ad escludere la responsabilità dell'ente citato.
Sul punto, la Cassazione ha ravvisato l'illogicità e la contrarietà di tale motivazione ai principi di diritto posti dall'art. 2051 c.c. Infatti, ciò che la Corte territoriale ha considerato un elemento esimente di responsabilità, è stato invece un elemento che ha aggravato gli effetti del vizio di manutenzione, nonchè un elemento che, senza il vizio di manutenzione, sarebbe stato inidoneo alla produzione del danno. Piuttosto, senza la pioggia, la condotta della ricorrente sarebbe potuta essere valutata anche ai fini dell'eventuale configurazione di un concorso di colpa, non avendo ella ravvisato tempestivamente la presenza della buca.
Pertanto, la pioggia non può essere considerata un caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità, poichè è un evento normale e largamente prevedibile che, di per sè inidoneo alla produzione del danno patito, ha piuttosto aggravato il difetto di manutenzione e ha contribuito al verificarsi del danno, la cui responsabilità ricade sull'ente manutentore, ovvero sul Comune, ex art. 2051 c.c.
Avv. Maria Talarico

sabato 21 maggio 2011

Comunione ereditaria: l'assemblea non può ripartire le quote in via provvisoria

Cass. Civ., sez. II, 20 maggio 2011 n°11264

"In tema di condominio, prima della formazione delle tabelle millesimali, non esiste un criterio legale o convenzionale per determinare la miura della partecipazione alle spese: risulta allora legittima la determinazione provvisoria delle quote (millesimi) da parte dell'assemblea. In tema di comunione, in mancanza del titolo, la misura della partecipazione è invece stabilita dalla legge nel senso della parità delle quote (art. 1101 c.c.), per cui non vi è alcun bisogno di una determinazione provvisoria da parte dell'assemblea: ne consegue che è illegittima ogni statuizione in senso contrario."
massima tratta da Cassazione.net

In tema di comunione, l'assemblea della comunione non può determinare in via provvisoria la misura della partecipazione poiché, in mancanza del titolo, è la legge stessa, vedasi l'art. 1101 c.c., che stabilisce la parità delle quote, per cui non vi è bisogno della determinazione in via provvisoria da parte dell'assemblea stessa.
Sulla fattispecie oggetto della pronunzia, attinente alla provvisoria ripartizione delle quote dei partecipanti ad una comunione ereditaria, la Cassazione ha statuito che "nel caso di successione, le quote sono quelle predeterminate dalla legge nel caso di successione legittima o quelle determinate dal testatore nel caso di chiamata di eredi in quote disuguali nella successione testamentaria".
In applicazione di tale principio, pertanto, ogni ulteriore censura dei ricorrenti in ordine alla deliberazione dell'assemblea della comunione, che aveva ripartito provvisoriamente le quote dei coeredi onde individuare un criterio di ripartizione delle spese necessarie alla manutenzione dei beni comuni, risulta assorbita e la Suprema Corte ha disposto la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello competente.
Avv. Maria Talarico                        

venerdì 13 maggio 2011

L'amministratore del condominio può intimare al professionista la rimozione della targa non autorizzata

Cassazione Civile, sez. II, 11/05/2011 n°10347

“Qualora l’amministratore di condominio si rivolga ad uno dei condomini sollecitandogli il rispetto delle leggi o del regolamento vigenti, non è configurabile atto di turbativa del diritto qualora egli abbia agito, secondo ragionevole interpretazione, nell’ambito dei poteri-doveri di cui agli artt. 1130-1133 c.c.”
massima tratta da Cassazione.net


L’invito, rivolto da un’amministratrice di condominio ad un avvocato, di rimuovere dall’atrio del palazzo la targa professionale costituisce atto di turbativa del possesso ai danni dell’avvocato? Si, secondo il giudice del merito (Corte di Appello di Genova), poiché la comunicazione inviata dall’amministratrice aveva caratteristiche di serietà, era sorretta da animus turbandi ed indicava un termine per l’adempimento, per cui meritavano accoglimento le ragioni del legale che aveva agito con ricorso per la manutenzione del possesso, ravvisando una turbativa dello stesso nell’invito di rimozione della targa da parte dell’amministratrice.  
      Di diverso avviso la Cassazione, la quale ha evidenziato la fallacia degli argomenti della Corte territoriale che aveva considerato l’azione dell’amministratrice alla stregua della condotta di un quivis de populo che avesse manifestato ingerenza nella sfera possessoria altrui pretendendo comportamenti abdicativi dei diritti sulla cosa posseduta.
      In realtà, secondo i giudici di legittimità, la condotta dell’amministratrice dev’essere valutata alla luce delle norme, vigenti nell’ordinamento e nel regolamento di condominio, che delimitano i poteri dell’amministratore di condominio e dell’assemblea condominiale.
In base all’art. 1133 c.c., l’amministratore può, in applicazione dei poteri che gli riconosce la legge, emettere provvedimenti obbligatori per i condomini, ai quali è comunque riconosciuta la facoltà di impugnarli dinanzi all’assemblea nonché di ricorrere all’autorità giudiziaria.
Tali provvedimenti non devono essere deliberati dall’assemblea poiché è la stessa fonte legislativa che gli conferisce legittimità, riconoscendo che essi sono adottati dall’amministratore nella sua qualità. Il carattere obbligatorio di tali provvedimenti comporta che essi abbiano contenuto precettivo, per cui possono anche indicare un termine ad adempiere, così come avvenuto nel caso di specie. Eventuali doglianze di illegittimità possono essere efficacemente rappresentate in sede di impugnazione del provvedimento nei modi e nei termini di legge (artt. 1133 e 1137 c.c.), rimanendo assolutamente inadeguato un ricorso per manutenzione del possesso, quale quello proposto nella vicenda esaminata.
Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, che ha cassato la sentenza di merito rinviando ad altra sezione della Corte di Appello competente, qualifica come non corrispondente a turbativa del possesso la condotta di un amministratore che abbia sollecitato un condomino al rispetto delle leggi vigenti o del regolamento di condominio, qualora questi abbia agito nell’ambito dei poteri-doveri conferitigli dalle norme di diritto comune di cui agli artt. 1130 e 1133 c.c.
Avv. Maria Talarico

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